Il fuoco. L’elemento che vive consumando.

Sono esattamente due settimane che non scrivo. Immagino sia strano che i miei incipit quantifichino sempre l’ultimo aggiornamento. Bè, non è strano per niente: sia perchè nella mia isola è di uso comune ricordare le ultime volte delle proprie azioni a memento di atto censorio e come esercizio di allenamento mnemonico, sia perchè, avendo sempre usato la scrittura come strumento massimo di autoanalisi, amo il valore confessionale del discorrere pensieri su parole scritte.

In queste due settimane di ritiro spirituale ho fatto tante cose. Ho letto ben cinque libri, sempre romanzi e a tema di ricerca interiore. In preda a un attacco di Giappone mi son schizzata quanto più Zen mi è stato possibile per poi finircela su Umberto Eco. Avevo rimandato troppo, era giunta l’ora di farmi ipnotizzare dal suo pendolo. Sono quasi alla metà e benchè io non sia un’esperta di sostanze stupefacenti, vi assicuro che è la Mia droga. Tra uno sballo e l’altro mi son guardata attorno. Gli elementi su questo pianeta si lamentano a gran voce: il centro della penisola italiana è sotto le macerie dopo l’ennesimo scrollarsi di quella gattaccia che è la nostra terra e il Mediterraneo ha bruciato per tutta l’estate. Ieri lo spauracchio fuoco si è ripresentato anche nella mia comunità mettendo tutti in subbuglio, ma circondato, è stato soppresso senza alcun rimorso. Poco tempo fa anche l’isola greca di Chio, presunta patria di Omero e culla di molta e alta arte, ha preso fuoco come un fiammifero. Nessuno ne ha parlato. Son tutti troppo presi dalle barbe islamiche o dai mostriciattoli pokemon per pensare a queste quisquilie. Tutti esperti di storia delle religioni o nerd di alti livelli: quasi cavalieri del tempio, quasi hacker, praticamente massoni cospirazionisti e illuminati provetti. C’hanno le prove, le urlano a lettere maiuscole, con tante kappa e con tutti i verbi rigorosamente all’imperfetto. Un minuto di silenzio per tutte le altre forme verbali…

Adesso che mi son sfogata a proposito dell’imbecillità dell’80% della popolazione mondiale, posso procedere, con molto entusiasmo, a parlare di questo elemento così forte e indipendente da doverlo spesso immaginare quasi come un essere umano.

Com’ è facile capire da una mia poesia condivisa qualche tempo fa, io amo il fuoco accettadone le sue contraddizioni. Il mio è un amore ancestrale, primitivo e istintivo. Son nata e cresciuta tra i boschi, tra le montagne e i suoi pochi abitanti umani. Ho avuto la fortuna di poter digiunare completamente di tecnologia fino all’età di 7 anni. L’energia è sempre stato una risorsa da rispettare e amministrare con grande cura, qualunque fosse la sua origine. La mia luce era il sole di giorno e per qualche ora la lampada a gas dal suono di caffettiera di notte. Mi riscaldavo con un maglione in più fuori e con la stufa a legna dentro. Sopra la stufa mia madre teneva un bollitore color crema con le fragoline disegnate che, pieno d’acqua, sbuffava fino a fischiare per annunciare, come fosse un gong, che il rituale del tè poteva avere inizio. Le risate ai biscotti con mia madre e quelle alle castagne arrostite o alle noci e nocciole tostate con mio padre erano calorose quanto la stufa e non si correva mai il rischio di bruciarsi le mani o squagliarsi i vestiti. Sto parlando del fuoco dell’innocenza. Dopo i 13 anni ho scoperto che anche il fuoco umano può bruciare a volte irrimediabilmente. Per dharma sono una femmina di essere umano molto fortunata.

Ogni essere vivente viene fecondato, temprato, fatto maturare o distrutto da qualche forma di fuoco. Esso è conoscenza danzante che vive consumando e consumandosi. E’ la verità della luce e la vitalità della saggezza. E’ egoista ma muore di solitudine. E’ altruista ma distrugge ciò che incontra. Serve chiunque ma solo per sè stesso eppure io lo domo relegandolo nella prigionia del mio camino. Scoppietta, fischiettando allegramente, poi scodinzola e abbassa le orecchie per essere attizzato. Ecco un fuoco domestico. E’ dalla sua scoperta al servizio dell’uomo: cuoca, vasaio, metallurgista, alchimista, sciamano e strega. E’ il sigillo maggiore di tutte le magie.

La sera del 16 gennaio la mia isola è tempestata di enormi fuochi dedicati a sant’Antonio abate o del fuoco per l’appunto. Questa data segna l’inizio del carnevale tradizionale dove istinti animaleschi, dèmoni, forze della natura e esseri umani si ritrovano a danzare in tondo. Nella mia regione è una data molto sentita e molto attesa, ci sono grandi celebrazioni per lo più a base pagana nel senso stretto del termine (di bidda per intenderci) o in presenza di forti sincretismi dal dualismo evidentissimo. In parole povere si accumulano grossi tronchi d’albero tagliati per l’occasione, si bruciano e si beve tantissimo in onore a tale sacrificio. Si, è vero, tutto molto dionisiaco. Ma non ne abbia a male Dioniso o il patriarcato in generale se son certa che siano questi ultimi a essere venuti molto dopo il primo rito di questo genere nel Mediterraneo. L’orgia alimentare e alcoolica in onore degli elementi ha preso tanti nomi in questa mia bell’isola, ma la sostanza è sempre la stessa. In tal caso: Fuoco d’Inverno per Sole d’estate. Potenza di solstizio in atto. Magie antiche, da brivido!

Archetipicamente rappresenta la consapevolezza. La trasformazione che deriva dalla conoscenza. Era di fuoco la mela di Eva che Adamo mangiò. Prometeo lo rubò agli Dèi e le conseguenze furono senza ritorno. Sant’Antonio l’ha sottratto al diavolo.

  • Scintilla. E’ il potenziale dell’esplosione ignea. La speranza di trasformazione.
  • Alba/Aurora. La nascita di un nuovo fuoco quotidiano. La continuità di trasformazione.
  • Solstizio. La svolta: la Potenza dell’atto o l’Atto della potenza.
  • Crepuscolo. Mescolanza emotiva in presenza dell’assenza. Morte del sole in fuoco di rinascita.
  • Tramonto. Unione tra giorno e notte, speranza di resurrezione.

Gli elementali del fuoco son comunemente chiamati Salamandre, hanno l’aspetto di lingue di fuoco e il loro sovrano si chiama Djin. Sono i più forti tra gli elementali, spesso considerati negativi. Le fate del fuoco son chiamate Fiammelle e hanno l’aspetto di scintille.

Nella mia terra ci sono invece le Janas de Fogu e i Cinciddutzus. Le prime son tipiche dell’Alba e i secondi del Tramonto. I loro rispettivi sovrani son coniugi e la tradizione vuole che possano incontrarsi solo durante il crepuscolo. In realtà possono rendersi visibili a noi solo in quel lasso di tempo, il loro crepuscolo è senza tempo, è uno stato di coscienza. Aiutano gli esseri umani nell’ autorealizzazione infondendo loro passione e coraggio. Le Janas influiscono sull’interiorità e i Cinciddutzus sull’esteriorità. I rispettivi sovrani fanno riferimento all’Arcangelo Uriele. Sono elementali che amano esprimersi attraverso simboli e nella loro cripticità vengono spesso interpretati in modo negativo.

E’ un elemento al quale il mio è molto sensibile. Lo adoro e lo rispetto profondamente, so che se non facessi così andrei incontro alla loro ribellione. E questo non sarebbe un bene.

 

Con cuore caldo

Jana*

 

 

 

 

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